Ricordi su due ruote: le dolomiti

Le dolomiti, la Maratona delle Dolomiti, il passo Giau, il “Prof.” e una 500 blu

Dolomiti
Avevo sei anni quando conobbi le dolomiti: un lungo viaggio in treno con mio padre, un pullman perso, un passaggio in auto e, finalmente, l’arrivo a Caprile di Alleghe. Era il 1971, nei miei occhi ho ancora impresse figure di donne con la gerla in spalla ricolma di legna, qualche bambino lungo le strade ad offrire mazzi di ciclamini ai turisti di passaggio e una gigantesca montagna di roccia: il Civetta. La più bella delle dolomiti, forse perchè è la prima che ho incontrato.

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Monte Civetta


Ai miei occhi di bambina quelle erano montagne magiche, ogni giorno, al tramonto, si coloravano di rosa ed era uno spettacolo che non volevo perdere. Ancora oggi, quando salgo lassù, l’ora del tramonto è solo per me, in silenzio ad ammirare il colore mutante della roccia.
E così, nei sette anni successivi, trascorsi le mie vacanze tra Caprile e Selva di Cadore: il Pelmo, la forcella Staulanza, la Marmolada, i Serrai di Sottoguda, il Fedaia, il Giau, il massiccio del Sella, questo era il mio parco giochi!
In quegli anni la montagna è entrata a far parte di me e non mi ha più abbandonata; certo ci sono state delle pause ma sempre interrotte dal suo richiamo, quasi fosse una calamita.

La montagna è così, quando diventa parte di te è lei che ti viene a cercare se ti allontani troppo.
Il 20 agosto del 1976 salutai le “mie” dolomiti. Negli anni successivi incontrai altre montagne, arrivarono le vacanze al mare e i viaggi nella vecchia cara Mitteleuropa.
La “bicicletta gialla”, la mia prima bici da corsa, mi riportò lassù nell’agosto del 2003 ove, con timore e reverenza, mi cimentai nel giro dei quattro passi. Non ne conservo un bel ricordo, infatti l’immagine che ho impressa è quella dell’incessante passaggio di autovetture e pullman. Dovrò attendere l’anno successivo per scalare i passi dolomitici in assenza di traffico e per rivedere i quadri impressi nella mia mente di bambina e che mai mi hanno abbandonata.

La Maratona delle Dolomiti, il Prof. e la 500 blu

La Maratona delle Dolomiti è la granfondo per antonomasia, quella a cui si vorrebbe partecipare almeno una volta nella vita per solcare le strade e i passi che hanno fatto, e continuano a fare, la storia del ciclismo.
Potevo esimermi dal parteciparvi ?!? Ovvio che no! E così il 4 luglio del 2004, alle h. 5,30 della mattina, mi posizionai nella seconda griglia in attesa della partenza fissata per le h. 6,30.
Ricordo che ero circondata da ciclisti provenienti da ogni parte d’Europa: tedeschi, olandesi, britannici, danesi ecc.. Una babele di lingue il cui tratto comune, che rendeva possibile la comunicazione e la comprensione, era dato dall’amore per il ciclismo e la montagna.

Alle h. 6,30 venne dato il via e, subito, mi resi conto che quella non era una gara bensì un incanto! Affronto i primi tornanti del Campolongo, volgo lo sguardo all’indietro e scorgo un unico serpentone di ciclisti che si riappropria, per un giorno, delle strade. Regna il silenzio, rotto solo dal leggiadro fruscio delle catene che girano sotto i colpi di pedale di migliaia di ciclisti. Le montagne, illuminate dal sole, paiono sorridere e quasi spingere chi sale a fatica. Finalmente inizia il Pordoi e, tornante dopo tornante, si scorge il ghiacciaio della Marmolada;

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Marmolada


se mai avessi avuto una qualche velleità di gareggiare questa si sarebbe persa sulla strada del Pordoi. Inutile dire che sulla bicicletta ora c’era una bambina, non era più il 2004 bensì i primi anni ‘70. E così, passo dopo passo, ritrovavo le mie dolomiti. Avevo risposto al loro richiamo, ed ora salivo lentamente per cercare ogni singolo frammento, ogni singolo quadro, ogni singola immagine di quegli anni ormai lontani. Mi sembrava di pedalare in un sogno. Giunta al traguardo ebbi la consapevolezza che ci eravamo ritrovate io e le montagne, le dolomiti e che non ci saremmo separate facilmente.
A quella prima partecipazione ne seguirono altre cinque. In ben due occasioni provai a “fare la gara” ma, strada facendo, fui distratta da altro.

Nell’edizione 2005 partii particolarmente motivata, era per me l’anno del primo “Prestigio”, ci tenevo a portare a termine solo i percorsi lunghi e, possibilmente, con un buon tempo. Affrontai i quattro passi particolarmente concentrata, le gambe giravano bene, nemmeno le rampe più dure del Sella mi fecero male.

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Sella


Transitai da Corvara in netto anticipo rispetto all’anno precedente, sentivo che si poteva portare a casa un buon risultato, stare sotto le otto ore non era impossibile (che poi il mio “fare la gara” e “fare il risultato” era riferito a questi tempi piuttosto elevati…). Scollinato nuovamente il Campolongo, giù in picchiata ad Arabba, mi apprestavo ad affrontare la parte più impegnativa della granfondo. Ovviamente prosegui per il percorso più lungo: Colle Santa Lucia, Passo Giau…Cinzia pensa alla gara, non guardarti intorno, concentrati sulla strada. Sì mi concentro sulla strada, vedo il punto di ristoro, non può essere.., è proprio situato nei pressi del “belvedere”  dove, trent’anni e più orsono, con mio padre e mia madre sostavamo sempre a fare le fotografie. La gara è finita esattamente lì, sono scesa dalla bici e, tra un frutto e una coca cola, mi sono affacciata al “belvedere”, sono entrata nel bar a fianco, insomma ho recuperato altri frammenti e quadri dell’infanzia. Una volta risalita in sella ho tentato di ritornare alla gara e di impormi di scalare il Passo Giau senza pensare ad altro. Era la prima volta che affrontavo “il mostro” in bicicletta, lo avevo studiato sulle carte: lunghezza, pendenza media, pendenze kilometro per kilometro, velocità presunta di ascesa. Tutto faceva presumere che non sarebbe stato facile “domarlo”, in effetti presentò il conto subito, dopo il primo kilometro. Si trattò di un conto in termini di difficoltà ed impegno, stante le pendenze piuttosto severe, ma anche in termini di ricordi.
Avevo sette o otto anni quando andammo per la prima volta al Passo Giau, la strada non era asfaltata, il fondo era ghiaiato. Io salii in auto con il Prof., Nando, che personaggio, non passava certo inosservato con la sua barba ed i suoi capelli sempre lunghi, gli occhiali da sole e l’immancabile Marlboro tra le labbra. Era un uomo colto, ma “alla buona” e di una grandissima umanità. Ci sapeva fare con i bambini ed i ragazzini (anni dopo me lo trovai come insegnante di applicazioni tecniche alla scuola media e mi insegnò i rudimenti della fotografia).
La sua automobile altro non era che una 500 blu. Provate ad immaginare cosa deve essere stato salire al Giau, attraverso una strada ghiaiata e su di una 500. Procedevamo avvolti da una nuvola di polvere e ciò mi faceva davvero ridere tanto, e Nando mi guardava e rideva: una salita da ridere! E, ora, in bici era una salita da “piangere” ma lo stesso mi misi a ridere, “questa è pazza” devono avere pensato gli altri ciclisti che procedevano accanto a me.
Si soffre sulle rampe del Giau ma, lo stesso, ogni volta l’ho scalato, e continuerò a scalarlo con il sorriso ripensando al Prof. e alla 500 blu.

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Passo Giau

Scollinai il Giau felice e contenta, nonostante la fatica e le gambe tritate; al termine della lunga discesa mi aspettavano gli ultimi ostacoli: i Passi Falzarego e Valparola. Il primo lo superai, nonostante la lunghezza, senza particolari problemi mentre soffrii sulle brevi ma feroci rampe del secondo. Mi separavano dal traguardo la lunga discesa sino a La Villa ed il falsopiano finale verso Corvara, poco meno di venti kilometri. Quando tagliai il traguardo e controllai il tempi impiegato mi resi conto che, nonostante tutto, ero andata vicina al mio iniziale obbiettivo: avevo coperto i 138 km della Maratona in 8 ore e 5 minuti. Solo nell’ultima edizione a cui partecipai, nel 2009, riuscii a migliorare il tempo di percorrenza di ben 30 secondi!

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Maratona delle Dolomiti: l’arrivo

Il 2009 fu l’anno in cui conquistai il mio quinto “Prestigio” consecutivo e decisi che era venuto il momento di cambiare, e di andare oltre le granfondo.

Il Passo Fedaia e i Serrai di Sottoguda

Messe da parte le granfondo nel 2010 andai a trovare un altro pezzo delle mie dolomiti: i Serrai di Sottoguda e il Passo Fedaia.
I serrai me li ricordavo bene: un canyon lo sguardo al cielo incontra due pareti di roccia che quasi si toccano, cascate di acqua che si gettano nel sottostante torrente…un capolavoro, un’opera d’arte della natura che lascia senza fiato.

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Serrai di Sottoguda


Li avevo sempre percorsi a piedi, ora ero in sella alla mia bici e non sapevo dove guardare e cosa fotografare: troppo in un colpo solo! Non so quanto impiegai per percorrere quel breve tratto di strada tante furono le fotografie scattate. Uscita dal canyon mi ritrovai a Malga Ciapela, non era cambiato nulla, tutto uguale ai primi anni ‘70…pareva fossi stata lì solo poche settimane prima e, invece, erano trascorsi più di trent’anni. Non restava che salire al Fedaia. Bastarono due colpi di pedale per comprendere che non sarebbe stata impresa facile e sarebbe occorsa molta pazienza.
Le pendenze sono costantemente a doppia cifra, si sale piano, a velocità equilibrio. Poco male, vorrà dire che mi gusterò il paesaggio in tutta la sua pienezza. Poi, improvvisamente, sbuca un teutonico, in sella ad una bici – cancello, e tutto allegro mi sorpassa a velocità doppia…per un attimo ho pensato di scendere dalla bici e segarla in due! Ha dei tratti impietosi questa salita, drittoni che sembrano non avere fine e la sensazione è quella di non avanzare mai. Finalmente si intravedono i tornanti finali, la strada si fa più mossa, adesso pedalare è un piacere, in fondo siamo in dirittura d’arrivo. Vedo il cartello che indica il passo, è fatta! Ecco il lago, il bar e il ristorante: e anche qui mi sento a casa, nulla è cambiato.

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Passo Fedaia

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Lago Fedaia

La fatica è stata ampiamente ripagata, una birra rende perfetta la giornata!

La bicicletta ancora una volta ha fatto la magia: avevo perso le dolomiti e me le ha fatte ritrovare insieme ad una parte di me bambina che era rimasta lassù.

E’ forte il legame tra me e le dolomiti…ed è fortissima la tentazione di “imbarcarsi” in questa avventura: La Randolomitics… 412 km e 13.000 mt di dislivello…ci proviamo?!? Sì dai!!

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Randolomitics

 

Wrtitten, posted and edited by Cinzia Vecchi “Cinziainbici”

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