Un mondo provvisorio – prima parte

“E tu come ti sei “difesa” durante questa “reclusione”?”
La domanda che più mi è stata rivolta, e non c’è un’unica risposta.  E, adesso che, seppure timidamente e a passo lento, proviamo ad avviarci verso il  termine, mi vien da dire che ho provato a crearmi un mondo provvisorio scandito da parole, immagini,  persone,  attività e luoghi. 
Le parole e le immagini, il lessico della mia quarantena. Ho provato a dargli ordine, per ricercarne un filo conduttore. Un lessico casuale, pensieri sparsi, che, poi, così sparsi non lo sono. 

Nella assoluta incertezza di questo tempo è la speranza il faro che ho cercato di non perdere di vista, la speranza con i caratteri che le danno sostanza ed i suoi corollari: sole, luce, persone, relazioni interpersonali, rimanere saldi nonostante le paure, immaginazione e ricordi a cui chiedere aiuto.

Un mondo provvisorio fatto di speranza: le finestre e la luce

Ai primi di marzo, nell’inquietudine che cominciava ad aleggiare, scrivevo: “quando cerchi il capo nella matassa aggrovigliata dei tuoi pensieri e non ci riesci, guarda un albero e l’ordine che regna nella confusione dei rami: tornano tutti al tronco. E così i tuoi pensieri, riportali a te e ne troverai il capo”. Una sorta di imperativo a non perdersi, a non smarrirsi.

Sempre in quei giorni arrivano alle mie orecchie le parole di Ivonne Merciari, libraia coraggiosa, titolare della “Libreria Incontri Indipendente”. Parole di speranza, come il titolo del podcast in cui sono inserite “Piazza Piccola Grandi Speranze”:

la speranza come scelta, come presa di posizione, come motore che ci tiene accesi nonostante tutto e nonostante il dubbio, per non arrenderci e resistere.
Suonano quasi profetiche queste parole, per ciò che si stava preparando.

Domenica 8 marzo, quando è chiaro che dovremo rimanere ristretti nelle nostre case, mi concedo un’ultima camminata e tra gli alberi in fiore, cercando di prefigurarmi ciò che sarà e non riuscendoci, ovviamente, penso a chiedere aiuto a ciò che, un minimo,  conosco: la letteratura. Perché può fornirci gli strumenti per orientarci in situazioni difficili.
Ed è Dante che mi sovviene, quel Canto XXIV dell’Inferno. Ci possiamo trovare atterriti dinanzi alla creatura più malvagia, nel luogo più oscuro, più buio del buio, eppure una strada, anche se “ascosa” (poco visibile), la si trova per uscire “a riveder le stelle”. In questa convinzione, comprendo, che bisognerà tenersi ben saldi e cercare di non smarrirsi “per una selva oscura”

Nei giorni a venire ho compreso che tutto stava mutando rapidamente, il mondo, per come lo conoscevamo, era come sospeso, in pausa e, forse, non sarebbe tornato più come prima. Ma non ne avevamo un altro, a disposizione, per sostituirlo. Lontani, gli uni dagli altri, non potevamo che provare, ognuno di noi, a crearne uno provvisorio.

In questo mio mondo non ho mancato di affacciarmi alla finestra ogni mattina alla ricerca della luce, ed ogni sera a fissarne l’affievolirsi riconoscendo in esso il preludio di un nuovo giorno; ne sono scaturiti, così, dei pensieri legati ad una immagine del momento, il mio lessico della quarantena:

18 marzo: “Le cose non sempre si mostrano come sono ci vuole la pazienza di attendere. Come quando il sole è celato dalle nuvole”;
25 marzo: “trovare la via che porta al cielo dal davanzale della finestra…i pensieri vanno arieggiati, bisogna farli correre e viaggiare anche dal chiuso delle nostre case”;
29 marzo: “Le giornate non trascorrono mai tutte uguali, nemmeno in questo tempo surreale; c’è sempre qualcosa di nuovo da osservare. Forse perché il tempo appare dilatato e ci soffermiamo di più a guardare, sovente mi scopro a cercare uno stato d’animo in ciò che vedo. E per quanti momenti di scoramento mi accompagnino una luce c’è sempre. Ed è quella, per quanto fioca, che non bisogna perdere di vista, mai!”;
2 aprile: “cercare di non dare più nulla per scontato, come le margherite che incontri durante una breve uscita. Scorgi la primavera con i suoi colori e profumi…da quando non le pensavi e non le vedevi così?”;
10 aprile: “ Non so perché ma le luci del crepuscolo, da sempre, mi infondono tranquillità, indipendentemente da come è trascorsa la giornata. E’ come giungere al termine di una lunga camminata, posare lo zaino a terra, dare ristoro alle spalle, non pensare a nulla e lasciarsi invadere dall’intorno”;
22 aprile: il mio modo per prendermi una pausa da questo tempo surreale è trattenerne dei piccoli istanti: mi affaccio alla finestra, osservo e rubo una immagine dove poter viaggiare liberamente”

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La finestre sono diventate un punto di riferimento, rettangoli da cui osservare quella porzione di mondo provvisorio racchiusa sin dove lo sguardo si può inoltrare. Finestre come un grande schermo cinematografico dove, ogni giorno e più volte al giorno, vanno in scena spettacoli diversi, sempre prime visioni.

Le albe e i tramonti, le aurore e i crepuscoli, metafore dell’inizio e della fine. E la fine che contiene in sé un nuovo inizio. 

Le persone e le relazioni

Questo mondo provvisorio, con il suo imporre distanze fisiche, ci sta obbligando a rivedere le modalità con le quali ci siamo rapportati agli altri, le relazioni con gli amici, con i nostri familiari. Che non sono mica cose da nulla, e un poco di smarrimento ci ha fatto visita e continua ad accompagnarci.

Tanto che alcune riflessioni le avevo scritte già all’inizio di marzo (La mano tesa, il virus e il vuoto ). Da allora è una costante che non mi ha abbandonata e che non mi abbandona tutt’ora: riscrivere, ricostruire le relazioni interpersonali. Il modo di relazionarci agli altri per come lo conosciamo e per come lo abbiamo praticato è andato in crisi, per non dire in frantumi.
(
qui potete ascoltare le parole dell’amico Giuseppe Bove che ha dedicato un podcast proprio al tema delle relazioni: “Il lievito della quarantena

 

Tutto ciò ci spinge su di una strada sconosciuta, anzi, su di una strada che non c’è, che tocca a noi realizzarla. 

Si dice che, tutto sommato, siamo fortunati: abbiamo la tecnologia! I social, whatsapp, le videochiamate, gli incontri virtuali. Sì sì, tutto vero, ma si tratta sempre di una comunicazione mediata e separata da uno schermo. E’ un comunicare freddo che tocca a noi riscaldarlo e darvi sostanza. Mica facile…
Le strade nuove si costruiscono anche volgendosi indietro, pescando dalle esperienze passate e, in questo modo, cercando di alleggerire i timori e le paure. 
E’ davvero troppo grande questa cosa che ci è capitata. Ed è dal recente passato che possiamo recuperare i capisaldi per costruire il nuovo. Partendo dalle cose, dai gesti più semplici, quelli che si suppone potremo tornare a compiere. Pedalare è uno di questi.
Potrei guardare al lavoro ma, lì, le incognite sono tali e tante che, ancora, si presenta come una nebulosa quasi impenetrabile ed il rischio vero sarebbe quello di perdersi e lasciarsi sopraffare dallo scoramento….cominciare dalle piccole cose può aiutare a mettere ordine anche in quelle più grandi…

Se penso alla bici tornano le amicizie, i gesti solidarietà e unità, quel “non si lascia indietro nessuno” delle tante randonnee pedalate.

Il 31 marzo scrivevo che “se riesci a scovare nei cassetti un ricordo diverso ogni giorno e a riviverlo con la stessa intensità di allora, sei già oltre le quattro mura in cui ti trovi ristretta in questo tempo surreale”.

provvisorio

Un ricordo non è mai fine a sé stesso, conservi la parte positiva e la conduci nel futuro; ma il ricordo ti fa anche immaginare, ti fa andare oltre. Un ricordo fa arrampicare l’immaginazione sulle erte più ripide per giungere a scorgere il panorama più bello. Non è mai facile l’immaginazione o, meglio, non corre mai su strade diritte, di pianura. Ha bisogno di ostacoli, non può avere la visuale libera dinanzi a sé, altrimenti non ci sarebbe nulla da immaginare.
E’ come questo mondo provvisorio, non sai cosa verrà dopo, e l’immaginazione può aiutare, non solo a prefigurare, ma a cominciare a costruire il nuovo. Nuovo che ha bisogno di punti fermi, quel “non si lascia indietro nessuno” è uno di questi nelle nuove relazioni che si andranno ad edificare. Saranno per un po’ (chissà per quanto…) a distanza, ma anche nella distanza, attraverso uno schermo, ce lo possiamo dire: 

“tu ci sei per me, ed io ci sono per te. Non ti lascio solo o sola e anche se non posso correre da te sono qui, ti vedo e ti ascolto. E mi sforzerò ancora di più a sentirti, presterò attenzione al suono e al tono della tua voce perché, proprio lì, si celano i tuoi stati d’animo, le tue emozioni ed i tuoi sentimenti. E mi impegno, se qualcosa si sarà rotto o strappato, a cercare di rammendare quello strappo e tu, per favore, fallo anche con me.
Quando usciremo da tutto ciò, lacerazioni ne avremo tutti addosso e dovremo ricucirle. Ecco, porterò con me ago e filo per ripararti e, magari una bella toppa colorata per richiudere quello strappo se sarà troppo grande. E farò in modo che quegli strappi non ti riducano ad uno straccio. E tu, lo so, farai altrettanto con me”

Oggi, in questo mondo provvisorio, è come se ci trovassimo dinanzi al mare cercando di decifrarne le acque e leggervi un guado, o un modo di aggirarle, ben sapendo che non vi è altra possibilità che immergervisi e nuotare, sperando di non affogare o nel lancio di un salvagente quando il mare si farà grosso.

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Rammendatrici, rammendatori e soccorritori acquatici, in questo dovremo essere in grado di trasformarci per non lasciare indietro nessuno e per non rimanere indietro, per ricucire e rinsaldare le nostre relazioni interpersonali e per non lasciare andare a fondo nessuno, noi compresi. 

Written, edited and posted by Cinzia Vecchi “Cinziainbici”

 

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2 risposte a “Un mondo provvisorio – prima parte”