Antefatto
Quando, a inizio anno, ho stilato il mio programma “randagio” 2022, la randonnée di Oderzo non era contemplata. Nei miei piani era in previsione la partecipazione alla “Ravorando” di Bologna. Ma, come scrivevo in un post su facebook, da due anni a questa parte, i miei programmi sono caratterizzati da continui “Stop and go” nonché da mutamenti imprevisti ed improvvisi. E così è stato per la “Ravorando”: a 24 ore dalla partenza mi vedo costretta a rinunciare…perfetto, salta tutto il mio programma…qua bisogna riprogrammare il 400, il 300 e il 600. Per fortuna il calendario rando è ricco di eventi. Una rapida scorsa, un veloce consulto con gli Amici e si decide per il 300 di Oderzo (gli altri appuntamenti non li nomino per scaramanzia!).
Il percorso è interessante, si snoda tra le province di Treviso e Belluno, le colline del prosecco e le Dolomiti bellunesi. Dai, è l’occasione per tornare a rivedere Agordo…in fondo son passati “solo” cinquant’anni dall’ultima volta!
E, allora, via che si va.
Sabato 14 maggio
Oderzo non è proprio dietro casa, così, mi aspetta una levataccia nel cuore della notte: alle h. 2,40 sono in piedi e alle h. 3,30 mi metto alla guida. Caso vuole che proprio questa notte un tratto dell’autostrada A13 sia chiusa per lavori…tocca ripiegare sull’Autobrennero e sull’A4, allungando il percorso di oltre 30 km. Praticamente, a quell’ora, in autostrada ci siamo io e gli autotrasportatori addetti a rifornire la grande distribuzione.
Arrivo a Oderzo intorno alle 6,30. Paolo, Marina e Giovanni sono già arrivati.
Solito cerimoniale: scarica la bici, toglie le scarpe, indossa le scarpe, metti il casco, controlla l’abbigliamento anti pioggia, riempi la borraccia. Ok, ci siamo, la bici è pronta, la ciclista mica tanto ma è lo stesso convinta di partire.
Non ci resta che registrare l’orario di partenza sulla App Icron e siamo pronti per il primo colpo di pedale.
I primi trenta km di pianura scorrono agevolmente. Nei pressi di Anzano la prima salitella di giornata: 2 km “sgarbati”, in mezzo ai vigneti. D’altro canto occorre tenere le gambe in allerta perchè questa rando è ricca di salita.
In breve raggiungiamo Vittorio Veneto e, in leggero falsopiano, lungo la strada del Fadalto entriamo nella provincia di Belluno. Costeggiamo il Lago Santa Croce dove ci concediamo una breve sosta per una fotografia.
Le Dolomiti bellunesi fanno bella mostra di sé e si sente l’aroma dell’alta montagna: l’inconfondibile profumo dell’erba addolcito dai fiori. E’ un profumo colorato, luminoso e gioioso. Dopo circa 75 km, in località Lastreghe, troviamo il primo controllo. Per la verità la traccia si era un po’ imbrogliata, per fortuna Paolo aveva il caro e vecchio roadbook che ci ha condotti al punto di controllo/ristoro. Un breve pausa per registrare il nostro passaggio e mangiare un panino, poi, via alla volta di Belluno.
Mano a mano procediamo il cielo si fa sempre più scuro, qualche tuono in lontananza…pensiamo che, se non altro, il mal tempo pare precederci, il nostro passo lento ha, almeno, il pregio di evitarci la pioggia.
Oltrepassiamo Belluno e risaliamo la Valle Agordina sino ad Agordo dove, nella piazza centrale, è posto il secondo controllo. Qui incontriamo Giovanna, Ciro e Stefano, praticamente era dalla Parigi Brest Parigi del 2019 che non ci vedevamo! Eh, insomma, anche questo è un segnale di ritorno alla normalità, alle pedalate tutti insieme.
Il tempo di un caffè e ripartiamo.
Forcella Franche e Passo San Boldo
Il mal tempo, evidentemente stanco di procedere in solitaria, pensa bene (anzi, male) di rallentare, di accodarsi a noi e “allietarci” con una leggera ed insistente pioggia. E’ tempo di indossare la mantellina anti pioggia, per fortuna non fa freddo e non patiamo più di tanto.
Procediamo sulla salita che conduce a Forcella Franche, attraversiamo diversi borghi di montagna, sempre ordinati e ben tenuti. La cosa che noto è che sono vissuti, abitati, non si tratta solo di seconde case, la cosa mi impressiona positivamente perchè una montagna vissuta e abitata è sintomo di cura del territorio, di conservazione del paesaggio.
E, poi, il silenzio assoluto che regna. E’ quel silenzio che io definisco buono perché declina le note musicali della natura: il fruscio del vento, il ticchettio della pioggia, il canto degli uccelli, il profumo dell’erba. Insomma un silenzio pieno e ricco di suoni e colori.
Vedo il cartello di Forcella Franche, segno che la salita è terminata.
Scendiamo verso la Valle del Mis con le sue caratteristiche gallerie scavate nella roccia e le gole in fondo alle quali scorre un torrente. Ci fermiamo un momento per gustarci lo spettacolo e, nel frattempo, ci raggiungono Giovanna, Ciro e Stefano.
Ripartiamo e percorriamo insieme un po’ di km.
La pioggia non ci abbandona. Per fortuna a Santa Giustina di Sedico c’è un ristoro a sorpresa allestito dall’amico Rinaldo. Riparati da un gazebo beviamo un caffè caldo e mangiamo una crostatina. Scambiamo due chiacchiere sull’ascesa al Passo San Boldo e Rinaldo ci preannuncia che lo affronteremo dal versante più impegnativo. Nella mia testa penso a pendenze intorno al 10%, ma non mi preoccupo più del dovuto.
Riprendiamo a pedalare sotto la pioggia, nei pressi di Trichiana la strada inizia a salire e le gambe sono piuttosto infastidite, guardo il Garmin…beh siamo ben oltre il 10%, capisco perchè sono infastidite. E’ una salita che non molla, rampe severissime, comincio ad accusare la mancanza di allenamento delle ultime due settimane. Stringo i denti e procedo alla velocità del bradipo. Il Garmin si spegne, le batterie sono esaurite. Un’ottima scusa per fermarmi e prendere fiato mentre cambio le pile. Neanche a dirlo la pioggia aumenta di intensità: sono ferma, cerco le batterie di ricambio, piove a dirotto, le gambe sono andate a “chi l’ha visto”, insomma una situazione perfetta!
Risalgo in sella, anzi no, percorro qualche decina di metri a piedi per raggiungere un punto pianeggiante (si fa per dire), riprendo a pedalare. Ora la salita sembra farsi un poco più morbida, addirittura si scende. Raggiungo Paolo, siamo convinti di essere presso il passo anche se ci assale più di un dubbio perchè non abbiamo visto il cartello da nessuna parte. Proseguiamo e i nostri dubbi sono presto fugati: la strada riprende a salire, occorre penare ancora per conquistare il Passo.
Finalmente scorgo il cartello e Paolo fermo a contemplarlo o, forse, a maledirlo!
Affrontiamo la discesa attraverso le caratteristiche gallerie del San Boldo dove si procede a senso unico alternato in quanto piuttosto strette.
Arriviamo a Tarzo, dove è posto il terzo controllo, ci fermiamo per mangiare qualcosa, mancano ancora 100 km alla conclusione della randonnee.
Gli ultimi 100 km: ma dov’è Oderzo?!?
Che dire, da Tarzo a Oderzo è stata una sofferenza unica. L’ascesa al Passo San Boldo, sommata al poco allenamento delle due settimane precedente e, forse, al non essermi alimentata bene, hanno fatto sì che mi assalisse una cotta memorabile.
I 100 km che separano Tarzo da Oderzo li ha pedalati la mia testa perchè le gambe erano vuote, prive di forza. La testa ha, in un paio di occasioni, vacillato, prontamente rimessa in carreggiata dall’incitamento di Paolo, Marina e Giovanni. Non ci fossero stati loro, forse, sarei tornata a Oderzo in taxi!!
Comunque stringo i denti e proseguiamo. A Valdobbiadene una breve sosta per l’ultimo controllo; il sole cala, accendiamo le luci. Guardo l’ora e, sconsolata, penso che non arriveremo prima di mezzanotte.
Forza e coraggio, mancano 60 km. Non ci penso e mi pongo dei micro obbiettivi: arrivare ai successivi 10 km, poi, ancora 5 km e facciamo una piccola sosta, e così via sino all’arrivo.
Arriviamo a Oderzo alle 23,59, come delle Cenerentole, un attimo prima che le nostre bici si trasformino in zucche!
I volontari del Pedale Opitergino, davvero gentilissimi e disponibili, ci stanno aspettando per il pasta party di mezzanotte! Li ringraziamo davvero di cuore per averci attesi, ci rifocilliamo e ci salutiamo. Io decido di rimanere a dormire a Noventa di Piave e ripartire l’indomani mattina con calma: tre ore di auto dopo 285 km di pedalata non potrei reggerli.
Una randonnee bella paesaggisticamente, l’occasione per rivedere luoghi dove ero stata da bambina, ma, soprattutto, l’azzardo di pedalare 300 km dopo due settimane di uscite in bici mai sopra i 50 km…senza testa o troppa testa? Giudicate voi; a mio parere sono vere entrambe le ipotesi: bisogna davvero essere senza testa per affrontare un percorso così, senza preparazione, ma ci vuole anche tanta testa per rimanere lì a soffrire e a non mollare tutto.
Ringraziamenti
Un enorme grazie va ai miei Amici e compagni di viaggio che mi hanno sopportata e supportata negli ultimi ed interminabili 100 km: grazie di cuore e alla prossima avventura!
E grazie al Pedale Opitergino e ai suoi volontari per l’ottima organizzazione e per l’estreme disponibilità e gentilezza.
A questo link i dati della Randonnée di Oderzo
Written, edited and posted by Cinzia Vecchi “Cinziainbici”.