Racconti su due piedi: Il Giro del Confinale

Si sa che le passioni non arrivano mai da sole e, così, accanto a quella per la bici continuo a coltivare quella per il trekking ed il cammino (a dire la verità, questa è arrivata ben prima della bici: Il Gigante  Da Rifugio a Rifugio).
Dopo tanto pedalare, in preparazione della Parigi Brest Parigi, una settimana di stacco totale dalla bici era quello di cui avevo bisogno, giusto per rigenerare gambe e testa.

Il Giro del Confinale

Natale 2018: Il Giro del Confinale

Natale 2018, ricevo in regalo un soggiorno, per una notte, al Rifugio V Alpini a 2885 mt di altitudine, nel Parco Nazionale dello Stelvio – Gruppo Ortles – Cevedale. Eh, un regalo mica da poco, soprattutto perché chi te lo fa sa bene cosa ti piace, sa arrivarti diretta al cuore! Non è mica un regalo qualsiasi, e nemmeno convenzionale, di quelli che togli subito la carta e realizzi all’istante di ché si tratta.
No, questo è un regalo da “scartare” progressivamente, è un bene, sì un bene e non un semplice oggetto, in divenire, da costruire e condividere insieme. Sì, perché al rifugio V Alpini mica si arriva in auto o in aereo, si raggiunge solo a piedi, camminando. Ecco, allora, il costruire, il progettare. Una prima occhiata al sito web, giusto per capire la difficoltà del percorso: pare impegnativo ma non impossibile questo Giro del Confinale , forse un poco lungo nel complesso, intorno ai 33/34 km.

Poi occorre costruire la squadra che, quando cammini, come quando pedali, bisogna essere in sintonia, capirsi anche solo con un gesto, uno sguardo. La diversità di ciascuno deve accordarsi ed incontrarsi con quella degli altri e mai imporsi. 
Non è operazione semplice, ma ci si prova e ci si può, pure, riuscire.
Siamo in sei: io, Monica, Sonia, Denny, Vanni e Paolo. Con Monica e Sonia ci si conosce assai bene, già abbiamo sperimentato trekking di più giorni insieme; anche con Paolo ci si conosce bene; con Denny e Vanni ci si sperimenterà strada facendo. Le premesse paiono buone dopo il primo incontro, a febbraio, dove si decide la data in cui affrontare il Giro del Confinale.
Dopo questo primo incontro, approfondisco le ricerche sul web, consulto un vecchio numero della rivista “Montagne”, provo a studiare le mappe dei sentieri e cerco di convincermi che questo trekking sia effettivamente fattibile in due giorni. Anche se la lunghezza qualche dubbio me lo insinua.
I giorni precedenti la partenza mi dedico a consultare il meteo: variabile, qualche fenomeno di pioggia ma, pare, nulla di estremo e temperature basse alle alte quote.

A questo punto occorre decidere come strutturare lo zaino e, quindi, cosa portare. Di tutta la preparazione questa è, sicuramente, la parte più impegnativa. L’imperativo è: viaggiare leggeri e portare solo l’essenziale! Facile a dirsi…la prima operazione consiste nell’eliminare il superfluo e far entrare tutto il resto in uno zaino da 20 lt. Preparo tutte le cose che mi paiono indispensabili…sono un po’ troppe…inizio a togliere e, così, alla fine elimino i 2/3 di quanto preparato…una bella scrematura. Magari si poteva togliere qualcosa di altro. In ogni caso riesco a far stare il tutto nello zaino e, questo, è già un buon risultato.

Venerdì 19 luglio: si parte!

Raggiungere Santa Caterina Valfurva non è così semplice. Autostrade che conducano direttamente in Valtellina non ce ne sono. Da Brescia son tutte strade statali piuttosto trafficate. I tempi di percorrenza si allungano e non poco.
Conveniamo tutti quanti di evitare la strada del Passo Gavia e di percorrere, invece, quella del Passo dell’Aprica. A causa di una strada chiusa per mercato, non si sa come, ci ritroviamo sulla strada che conduce al Mortirolo…no, il Mortirolo no! Quindi? Vai con il Passo Gavia. 

La ricordavo bene questa strada, stretta, poche protezioni laterali, strapiombi vertiginosi…mentre saliamo sento che sto perdendo cinque anni della mia vita, sudo freddo, stringo tra le mani un piccolo sacchetto di plastica che porto sempre con me, e dove ho riposto “pezzi” importanti della mia vita. E’ come se non fossi mai sola…una fotografia, una frase scritta su di un biglietto, una spilla di un rifugio, un Tao di San Francesco, un ciondolo a forma di luna. Penso sempre che, se mi dovesse accadere qualcosa, qualcuna delle persone rappresentata da ciascuno di questi oggetti, sia lì, con me.

Mano a mano che saliamo inganno la paura guardandomi intorno: gli stambecchi, lo spettacolo maestoso delle alpi…dai, si vede il Rifugio Bonnetta, la salita è terminata. Però una sosta ci sta bene, per ricominciare a respirare e scattare un paio di foto

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Scendiamo a Santa Caterina Valfurva, la strada fa meno paura, pare meno esposta o, semplicemente, la montagna mi ha trasmesso un poco della sua serafica tranquillità!
In breve siamo all’hotel; giusto il tempo di sistemare i bagagli e ci sediamo a tavola per la cena. Viene da sé che iniziamo a parlare del programma che ci attende per i prossimi due giorni. Paolo lancia l’idea di deviare dal percorso per salire al Rifugio Casati: “sono solo un paio di km; in fondo domani ci aspetta una camminata di soli 12 km” – “magari sentiamo da qualcuno del posto cosa ci consiglia”. Chiediamo ad una guida locale, la sua risposta è imperativa: “Evitate! sono almeno due ore e mezza a salire e quasi altrettante a scendere” In effetti è meglio che al Casati andiamo un’altra volta…

Sabato 20 luglio

La sveglia suona presto, alle h. 7,30 stiamo già facendo colazione e alle h. 8,00 partiamo alla volta del Rifugio Forni ove lasceremo le auto ed inizierà la nostra avventura.
Poco dopo le h. 9,00 ci mettiamo in cammino. Il ghiacciaio dei Forni alle spalle e procediamo verso la prima tappa: il Rifugio Pizzini

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Il sentiero è abbastanza agevole, solo il salire di quota rende il respiro corto. In circa un’ora e trenta siamo al Pizzini;

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una veloce sosta e ripartiamo.
E, qui, si sale in maniera più decisa, tanto che il sentiero si fa piuttosto “sgarbato” e non può essere altrimenti. Per raggiungere quota 3000, al Passo Zebrù, mica puoi camminare in piano. Il mio passo rallenta visibilmente, vedo i miei amici salire più veloci. La testa comincia a dolere, effetto dell’altitudine. Adesso comprendo cosa intendeva Paolo Cognetti ne “Le Otto Montagne”, quando scriveva che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna…la mia, capisco, che si colloca tra i 2000 ed i 2500 metri. Oltre posso andare ma a patto di soffrire.
Alzo lo sguardo e vedo i miei amici sulla sommità del passo. Pochi faticosi passi e arrivo pure io. Il male alla testa non mi da tregua ma poco importa, sono, anzi, siamo contenti di essere qui

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Lancio un’occhiata al Garmin, in effetti la fatica ci sta tutta: abbiamo superato pendenze spesso oltre il 20%, quasi a sfiorare il 30%! Riprendiamo fiato e ci gustiamo l’immensità delle Alpi

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Teoricamente il tratto più impegnativo dovremmo averlo superato…sì, molto teoricamente.
Il sentiero, ora, scende ma la difficoltà è data dal terreno: pietraie, ove occorre passo fermo e puntellarsi con i bastoncini telescopici; e, poi, i nevai. Infatti sono diversi i passaggi sulla neve che affronteremo: residui delle nevicate tardive di maggio ed i resti di qualche slavina. Occorre prestare molta attenzione poiché, sotto la neve, sono presenti lastre di ghiaccio. Ma con la dovuta calma si supera tutto  

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Oltrepassiamo un ponticello

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il sentiero riprende a salire, prima abbastanza dolcemente, poi, quasi avesse frette, scappa verso il cielo! Ok, rallento nuovamente il passo…non è che ti puoi mettere a questionare con un sentiero!! Vedo Sonia ferma sulla sommità

 

Il Giro del Confinale

e la sento dire: “Si vede il Rifugio V Alpini”.Dentro di me penso che ormai la meta di giornata sia raggiunta. Sbagliato…arrivo sulla sommità del sentiero e non vedo nulla: “ma dov’è il rifugio?” – “Là, quel puntino giallo sotto il ghiacciaio” – “Ah! Quindi dobbiamo scendere, risalire quella pietraia e attraversare almeno due o tre nevai…”

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Quindi, quando ti dicono che la tua meta è visibile, evita di far correre avanti i pensieri e trarre conclusioni illusorie!
“dai, dai, ci vorranno sì e no quaranta minuti” esclama Paolo…sarà vero…
Non resta che riprendere il cammino, affrontare la pietraia ed i nevai, di passo lento ma costante e senza pensare alla distanza (e qui lo spirito randonneur aiuta) è così che si raggiungono le mete.
Ci siamo!
Però, siamo stati proprio bravi ad arrivare sin quassù!

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Rifugio V Alpini

Ci accolgono i gestori del rifugio, ci assegnano la stanza e ci fanno scegliere il menù per la cena. Posati gli zaini in stanza, indossata la giacca a vento (fa decisamente freddo a 2885 mt di altitudine), possiamo, finalmente, accomodarci ad un ad un tavolo per gustare una buona birra per festeggiare questa prima parte del nostro trekking.

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Terminata la birra decidiamo di salire sino al ghiacciaio, sono solo 5 minuti, niente rispetto a quello che abbiamo camminato 

Mi siedo per godermi lo scenario davvero suggestivo. Il tempo cambia ogni minuto: nuvole e vento gelido; sole e cielo azzurro.
Osservo quella spianata di ghiaccio e non è per nulla di gelo la sensazione che trasmette.
Salire sino a qui, attraversare la Val Cedec e la Val Zebrù, ha, progressivamente, svuotato la mia mente, quasi avessi perso, passo dopo passo, tutti i pensieri: è una sensazione di leggerezza assoluta l’avere lasciato altrove tutti questi pesi.
Pare quasi che, solo i pezzi essenziali della mia vita, siano rimasti. Rigiro tra le mani il mio sacchetto di plastica: è come se, su quel ghiacciaio, chi davvero conta qualcosa per me, si disponesse in un cerchio, e tutti si tenessero per mano, anche chi non c’è più.
Già, perché, le nuvole, che quasi si toccano con una mano, per un istante spalancano le finestre e lì, proprio lì, ritrovi un volto e senti risuonare la sua voce e ti arrivano quelle parole che da tanto, troppo tempo, mancano.
Forse bisogna davvero salire così in alto per incontrarsi di nuovo, affinché le mancanze si facciano di nuovo presenze ed i vuoti vengano a colmarsi.
Ci sono ancora luoghi ove è possibile fermarsi e concedersi una tregua. 

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Ora, però, è meglio scendere al rifugio, l’aria sta diventando gelida.

Alle h. 19,00 tutti a tavola. Certo che è ben strano, il 20 di luglio, cenare con una vellutata di zucchine, polenta e formaggio fuso. Decisamente autunnale, se non invernale, come menù…però, ottimo.
Ma quanti gradi ci saranno fuori?!? Pochi, 4, al massimo 5. Meglio fare scorta di questo freddo in previsione del caldo soffocante che ci aspetterà quando torneremo a casa!
Poco dopo le h. 22,00 andiamo a dormire, il giorno successivo ci attendono almeno 22/23 km di cammino.
Che, poi, dormire è una parola grossa…camerata da sei, con letti a castello, come quando, da bambini, si andava in colonia, e ci divertivamo pure a salire su e giù per le scalette. Adesso i movimenti, quantomeno per me, sono meno agevoli…se, poi, ci metti anche il soffitto un poco basso, devi pure fare attenzione a non sbattere la testa…e, così, più che un sonno continuativo, la notte trascorre tra microsonni spesso interrotti dal russare di qualcuno (me compresa) e dalle “sturlate” di testa contro il soffitto. Però, che ridere la mattina, al risveglio: “oh ma quanto hai russato?!?” – “e te, invece, tutte le botte che hai dato al soffitto?!?” – “ma quanti “zio walzer” hai tirato questa notte?!?”. 

Domenica 21 luglio

Prima delle h. 7,00 siamo svegli, alle h. 7,30 ci aspetta una sostanziosa colazione. Dopodiché recuperiamo gli zaini, salutiamo i gestori del rifugio e gli altri ospiti.
Uno sguardo al cielo, il tempo non pare promettere bene. In breve si addensano nuvole scure ed inizia a piovere.

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Indossiamo l’abbigliamento anti pioggia e cominciamo ad interrogarci su quale sia la via migliore, la meno rischiosa, per rientrare al Rifugio Forni: ripercorrere a ritroso il sentiero del giorno precedente (più impegnativo ma più corto) o portare a termine il Giro del Confinale secondo l’itinerario ufficiale?
Propendiamo per la seconda ipotesi, al massimo, se il tempo volge proprio al peggio, scenderemo a Bormio e, da lì, rientreremo a Santa Caterina in corriera.
La scelta, comunque, si dimostra azzeccata, mano a mano che scendiamo di quota le nubi si diradano ed esce pure il sole.
Superato il primo tratto di sentiero in ripidissima discesa (un piacere per le ginocchia!),

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proseguiamo in maniera più agevole sino al Rifugio Campo

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Una breve sosta caffè e riprendiamo il nostro cammino. Ora il sentiero si inerpica, con pendenze impossibili, attraverso il bosco. Ed è un attimo che le forze mi abbandonano, procedo al passo del bradipo. Monica, che mi precede e non mi perde di vista, mi chiede: “come va? tutto bene?” – “eh…sono un po’ stanchina”…
Comincia, in me, ad insinuarsi il dubbio di non riuscire a concludere questo trekking.

Il Giro del Confinale

In effetti, quanto riportato dalle guide, risulta veritiero: affrontare il Giro del Confinale in soli due giorni è davvero impresa assai impegnativa, per escursionisti allenati…dunque, quante escursioni serie ho affrontato quest’anno? Forse due…notevole come allenamento!
Usciamo dal bosco, il sentiero si fa meno ripido, siamo su di una specie di pianoro. Provvidenziale una panchina per qualche minuto di sosta…Mi accomodo a fianco di Denny…che cottura!

Il Giro del Confinale

Dopo qualche minuto decido di rimettermi in cammino, il mio passo è più lento, non mi va di far attendere troppo i miei compagni di viaggio, così cerco di avvantaggiarmi un poco.
Ora il sentiero è meno severo, in leggero falsopiano. Lentamente mi riprendo e quella sensazione di mestizia che mi accompagnava, finalmente, mi abbandona. Dai che, in una qualche maniera, ce la possiamo fare!
Nei pressi delle Baite di Cavallaro siamo di nuovo tutti insieme. Guardo il Garmin, eh, altro che 22 km, che non arriveremo al Rifugio Forni diventeranno almeno 25/26 i km…e, se cammini a piedi, anche 2 km in più possono diventare davvero pesanti.

Sul nostro cammino scorgiamo l’agriturismo Ables; una sosta non ci farebbe male, abbiamo davanti più di un’ora di cammino. Io, Sonia, e Monica decidiamo di concederci una birretta, i ragazzi preferiscono proseguire. 
Ripartiamo dopo circa venti minuti, ad un certo punto iniziamo a scorgere, in lontananza il ghiacciaio dei Forni, segno che non dovrebbe mancare moltissimo alla conclusione del Giro del Confinale.

Il Giro del Confinale

Raggiungiamo Vanni e Denny; Paolo, con passo più veloce, precede tutti quanti. Siamo visibilmente affaticati, ma non ci perdiamo d’animo consapevoli che, ormai, la meta è alla nostra portata.
Vediamo un segnale che indica il Rifugio Forni a 15 minuti; dai che ci siamo, non prima, però, di avere affrontato l’ultima ripida ed insidiosa discesa. Vediamo il tetto del rifugio, ancora qualche passo: è fatta!! Partiti insieme e arrivati insieme, fedeli al miglior spirito “randagio”.

Un trekking davvero impegnativo, “ruvido” e “sgarbato”…e come vuoi suggellare un’impresa così?!? Con un abbraccio, di quelli forti e calorosi, che trasmettono il senso dell’impresa portata a termine e che nessuna parola saprebbe esprimere meglio!

Il Giro del Confinale

Carlos Castaneda scriveva:
“ Per me esiste solo il cammino lungo sentieri che hanno un cuore,
lungo qualsiasi sentiero che abbia un cuore.
Lungo questo io cammino,
e la sola prova che vale è attraversarlo in tutta la sua lunghezza.
E qui io cammino guardando, guardando, senza fiato.”

Credo che i sentieri che abbiamo percorso, ad un certo punto, si siano fatti cuori pulsanti perché noi, Sonia, Monica, Paolo, Vanni, Denny ed io, li abbiamo camminati mettendoci anima e cuore, senza nessuna presunzione e con lo sguardo di stupore e meraviglia dei bambini!

Grazie, grazie e ancora grazie Monica per questo immenso dono.
E un immenso grazie ai miei compagni di viaggio, per avere reso questa avventura unica e speciale. Alla prossima!

A questi link il percorso: trekking – prima parte
trekking – seconda parte

Le fotografie sono state scattate da me, Paolo, Sonia e Monica.

Written, edited and posted by Cinzia Vecchi “Cinziainbici”

 

 

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