La Passeggiata

“Che cosa è un passo? E’ il possibile di fronte al tutto” Padre Gianmaria Polidoro

La passeggiata

La fermata del treno era a poche centinaia di metri da casa, la distanza giusta o, meglio, quella consentita per una passeggiata. Poche centinaia di metri…suonava come una beffa, abituata come era a camminare per chilometri, per non parlare delle centinaia che percorreva in bici.
Uscì di casa, il volto quasi completamente travisato da uno scalda collo. Le era rimasta un’unica mascherina, e voleva conservarla per il giorno successivo, quando si sarebbe recata al lavoro. 

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In strada non c’era nessuno, lanciò un’occhiata furtiva alle finestre ed ai balconi, nessuno era affacciato, arrivavano solo gli echi delle televisioni accese. Partì di buon passo, in breve uscì dalla visuale dei palazzi circostanti, attraversò il parcheggio di un grande supermercato. Le porte sbarrate, protette dalle serrande abbassate. Un senso di leggera inquietudine la pervase…memoria di un classico film dell’horror, “Zombie”, ambientato proprio in un centro commerciale. Passò oltre e intravide la fermata del treno, non c’era nessuno; il deserto, solo una voce metallica che usciva da un altoparlante che avvisava gli inesistenti passeggeri di non aprire le porte sino a che il treno non fosse completamente fermo. Di nuovo la memoria correva a quei romanzi distopici che tanto le piacevano, ma mai avrebbe immaginato di trovarsi in una realtà che cominciava ad assomigliarvi sempre più. Si viveva confinati dentro le case, spostamenti limitati a comprovate necessità, un modulo di autocertificazione e un documento di identità sempre a portata di mano.

23 febbraio

Da quel 23 febbraio le cose erano velocemente precipitate, un male invisibile, misterioso contagiava sempre più persone. Prima chiusero le scuole, poi, imposero una distanza di sicurezza tra le persone, nemmeno tra amici ci si poteva stringere la mano o abbracciarsi (La mano tesa, il virus e il vuoto) , decretarono la chiusura di bar, ristoranti e centri di aggregazione.
Tutte le attività sportive sospese. Infine bloccarono anche le attività lavorative e le persone vennero “invitate” a non uscire di casa. Le strade, da un giorno all’altro si svuotarono. “Ne usciremo migliori”, “restiamo a casa, portiamo pazienza”, “sarà l’occasione per riscoprire il nostro vero essere, i valori fondamentali le cose che davvero contano nella vita”…tempo qualche giorno e, questa visione edulcorata, in alcuni cedette il passo alla meschinità , alle invidie, ai rancori. Se il male non si arrestava, a dispetto delle limitazioni imposte, allora, doveva esserci un colpevole, un untore che continuava a circolare e a diffonderlo. Tu, tu, che corri, che ti muovi in bici, tu che vai all’edicola, tu che passeggi, tu che porti a spasso il cane, sì tutti voi, voi siete i colpevoli! 

La paura, ormai, era la sua fedele compagna nel tragitto che percorreva a piedi, ogni giorno, per raggiungere il posto di lavoro, come nella breve passeggiata quotidiana. 
Quel pomeriggio, mentre raggiungeva la fermata del treno, costeggiò un tratto di una ampia strada. Il suo sguardo incrociò quello dei radi automobili passaggio, sguardi che, in un impercettibile lasso di tempo, si interrogavano sul loro essere lì, se rappresentavano un pericolo e, infine, si scioglievano in un cenno di saluto.
Improvvisamente arrestò il suo passo, vide sopraggiungere un’autovettura con i lampeggianti accesi, infilò una mano in tasca alla ricerca dei documenti, aveva già pronta la carta di identità quando vide l’auto proseguire, senza accennare nemmeno a rallentare…tra sé e sé si disse che certo, lei, non poteva rappresentare un pericolo. Già, che pericolo vuoi che costituisca una persona sola che cammina?!? 

La fermata del treno 

Si fermò un paio di minuti ad osservare la fermata del treno, mentre la voce metallica faceva da sottofondo, i pensieri si rincorrevano attraverso gli anni: una corsa lunga 35 anni…l’università, la pratica, la professione, e quel treno sul quale era salita centinaia di volte. Quella voce metallica dava un senso di post apocalisse, risuonava nel vuoto…si riscosse, si convinse che era solo una suggestione scaturita dalle sue letture e dai tanti film di genere che aveva visto.

passeggiata

Ritornò sui suoi passi, azzardò ad allungare il percorso, costeggiando il lato esterno del supermercato. L’erba a lato del marciapiede, ravvivata dai fiori,  ondeggiava mossa da un piacevole vento, una farfalla bianca volteggiava tra gli steli. Era la primavera, almeno quella il male invisibile non l’aveva fermata.

passeggiata

Vide due ragazzi, si tenevano per mano, il volto scoperto, sorridevano e gli occhi illuminati, come solo gli innamorati possono averli. Si scostò per mantenere la distanza di sicurezza dai due; poco oltre vide una mamma con due bambini, che li richiamò a sé non appena la vide. Pensò che, ora, ognuno vedeva nell’altro un potenziale pericolo e questo cozzava con il suo sentire. Non aveva mai considerato le persone un pericolo. Anzi, tendenzialmente era portata a vederne solo gli aspetti positivi.

Dalle sue lunghe camminate e pedalate aveva tratto un convincimento, che le brave persone esistono, sono tante, perché tante ne aveva incontrate. Ma, adesso, questo timore crescente la lasciava smarrita, si chiedeva come si sarebbero potute ricostruire, rimodellare le relazioni dopo, perché un dopo avrebbe dovuto esserci. I suoi occhi incontrarono quelli della mamma, una ragazza giovane, non avrà avuto più di trent’anni, le sorrise e la salutò. Allora non era paura, era solo un riguardo nei suoi confronti, non voleva che i suoi bambini le intralciassero il passo. Quel saluto le diede un po’ di fiducia. Era ormai nei pressi della sua abitazione, due ragazzini davano calci a un pallone. Anch’essi, tra di loro, si mantenevano a distanza di sicurezza, ma la maniera di giocare l’avevano trovata.
Si sentì un poco più leggera. 

Prima di quel tempo faceva camminate di 15/20 km, a volte anche di più, scattava decine di fotografie. Quel giorno percorse solo 800 metri, scattò tre fotografie, eppure le pareva di avere fatto un lungo viaggio, attraversato frontiere, visitato paesi stranieri, e di essere tornata a casa con meno paura, anche se sempre con l’incertezza del domani. Ma con la convinzione che nuove relazioni si potevano costruire.

Quel tempo, esattamente, quando era? Ed è, poi, finito? E cosa è successo?

Quel tempo è adesso, primavera del 2020, quella persona sono io, e cosa accadrà dopo, sinceramente, non lo so. Forse occorreranno altri viaggi di 800 metri per trovare la risposta.

Written, edited and posted by Cinzia Vecchi “Cinziainbici”

 

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