#ioescoemantengoledistanze
Lo so, il titolo è provocatorio, e non suoni come una chiamata alla disobbedienza civile (almeno per ora…). E’ un hastag che mi è sovvenuto ieri, mentre riflettevo, pedalando in casa sui rulli.
Questa mattina presto, stavo sorseggiando il mio caffè, distrattamente ho buttato l’occhio sul parco sottostante. Un ragazzo, solo, stava facendo degli esercizi, non appena mi ha vista si è allontanato. Siamo arrivati a questo: avere paura di una persona che, affacciata alla finestra, sta bevendo il caffè! Ma davvero un ragazzo solo che, di prima mattina, si allena rappresenta un pericolo? Ritorno agli anni passati e mi sovvengono le mie levatacce che mi conducevano, prima del sorgere del sole, ad inforcare la bici per una sgambata pre lavoro o per una camminata. Quante persone pensate potessi incontrare? Due, forse tre e, sicuramente, non davamo luogo ad assembramenti ma, ognuno, proseguiva per la sua strada.
A mio parere stiamo perdendo di vista la strada e le corrette soluzioni che ci possono traghettare fuori dal #iorestoacasa. Perché la soluzione non può essere il rimanere rinchiusi tra quattro mura nella speranza che il virus se ne vada oppure sino a quando non sarà messo a punto un vaccino.
Capiamoci io non ho soluzioni, non ne ho le competenze, però, una cosa mi pare di averla capita: bisogna mantenere le distanze, fisiche e non sociali, gli uni dagli altri. Questo è quello che ci viene ripetuto ogni giorno. Allora perché non ragionare sul mantenere le distanze e provare, con tutte le precauzioni del caso, a ricominciare ad uscire di casa senza fare del male a noi stessi e agli altri?
Dal 23 febbraio al lockdown
Da chè il virus ha iniziato a circolare o, meglio, da ché ne è stata scoperta la presenza nel nostro paese si è susseguita l’adozione di diverse misure di contenimento dello stesso.
La prime misure, a portata nazionale, risalgono, se la memoria non mi inganna, a domenica 23 febbraio quando venne disposta la chiusura delle scuole e vennero dettate le prime disposizioni per il mantenimento delle distanze tra persone. Queste ultime, va riconosciuto, non furono osservate immediatamente. Tanto che assistemmo a due fine settimana a dir poco scellerati: ricordiamo tutti gli impianti sciistici presi d’assalto, le zone della movida nelle nostre città frequentate come non mai, gli spostamenti in massa dalle città del Nord alle regioni del Sud. In effetti non fu un bello spettacolo e, col senno del poi, nemmeno un comportamento responsabile. Innegabilmente, tutto ciò, ha dato una ulteriore mano alla circolazione del virus. Ciò portò alla adozione di misure ancora più restrittive sino ad arrivare al lockdown: chiusura della maggior parte delle attività produttive, di tutti gli esercizi e locali pubblici, sospensione di tutte le attività sportive e l’imposizione del distanziamento fisico mediante l’invito a non uscire di casa.
Dapprima queste misure vennero accolte con un poco di riluttanza ma, compresa la gravità della situazione, ci siamo ritirati nelle nostre case, riducendo al minimo ogni spostamento, rinunciando, di fatto, ad ogni tipo di attività sportiva all’aperto.
E questo, ne sono tutt’ora convinta, è stato giusto (registrai persino un video ove spigavo le ragioni per la quali avrei messo a riposo la bici e avrei, per quanto possibile, lavorato da casa Giro in bici? No, #iorestoacasa). In breve abbiamo modificato, anzi, rivoluzionato le nostre vite. Ci siamo organizzati per rimanere il più possibile tra le nostre quattro mura, abbiamo rinunciato a far visita ai nostri genitori, fratelli, nipoti ed amici. La nostra socialità, da reale, è diventata virtuale, correndo sulle strade della rete: wahtsapp, zoom, facebook, twitter, instagram. E così, per molti di noi, il lavoro ha preso le vie della telematica.
Insomma il lockdown lo abbiamo osservato, al netto di una minima percentuale di infrazioni (ma queste sono fisiologiche e sempre ci saranno). Abbiamo cercato di districarci tra una serie di norme non sempre chiare, anzi, a volte contraddittorie….e qui ci sarebbe da scrivere un trattato se dovessi addentrarmi in una analisi giuridica….magari un’altra volta…
#iorestoacasa
#iorestoacasa è diventato un mantra, quasi sperassimo che fosse sufficiente a contrastare la diffusione del virus. Sicuramente l’isolamento, il mantenere le distanze, hanno contribuito in maniera significativa a rallentarne la diffusione. Però ha continuato e continua a circolare.
Ecco allora che hanno iniziato ad insorgere degli episodi di “isteria”: siamo chiusi in casa, e la malattia non si ferma. Allora deve esserci qualcuno che la diffonde: gli untori. E via ad infamare chiunque passi per la strada, chi si mette in fila per fare la spesa, chi porta il cane a passeggio, chi fa la corsetta nei 200 mt intorno a casa.
Non c’è bisogno che spieghi io perché il virus ha continuato a circolare, è stato detto e ripetuto più volte (dagli asintomatici che, inconsapevolmente, lo trasmettono; chi ha un familiare infettato e a sua volta lo ha trasmesso ai conviventi e via dicendo).
In ogni caso, con mille dubbi, siamo stati ligi, abbiamo osservato tutte le misure restrittive che ci sono state imposte e abbiamo rinunciato a una parte significativa delle nostre libertà.
Credo, però, sia giunto il tempo di cominciare a pensare come andare oltre. Non possiamo pensare di vivere in eterno in casa né, tanto meno, continuare a colpi di divieti e sanzioni.
Io esco e mantengo le distanze #ioescoemantengoledistanze
Non siamo un popolo di assoluti irresponsabili, eterni bambini che hanno bisogno di un papà e di una mamma a guidarli, redarguirli e tenerli per mano. Sinceramente mi ha stufato la retorica del “eh, siamo italiani, siamo fatti così, abbiamo bisogno di una guida”. No, gli italiani siamo noi, siamo quelli che in casa ci sono stati, quelli che dall’oggi al domani hanno mutato il loro modo di vivere e le loro abitudini consolidate. Siamo quelli che sanno benissimo che non torneranno per lungo tempo alla loro vita di prima, forse la cambieremo proprio per tanti aspetti. Siamo pronti a farlo, ad attrezzarci per vivere diversamente la nostra socialità, per lavorare con modalità diverse e dotandoci delle opportune misure di sicurezza. Già ora, nei minimi spostamenti permessi, indossiamo guanti e mascherina e manteniamo le distanze quando ci rechiamo a fare la spesa, in farmacia, in libreria. E lo faremo per tutte le altre attività e sui luoghi di lavoro.
Allora, vogliamo provarci dal 4 maggio? Facciamolo con gradualità, con tutte le precauzioni del caso ma facciamolo. Con il virus, ormai lo abbiamo capito, dobbiamo conviverci. Non può essere che l’unico luogo sicuro siano le nostre quattro mura instillando, in tal modo, la paura per tutto ciò che sta all’esterno. Il rischio è quello di vivere nel terrore perenne, di paralizzare le nostre vite.
E già che ci siamo, visto che dobbiamo mantenere le distanze, perché non cominciamo a pensare ad un tipo di mobilità diversa. La soluzione non può essere quella di non utilizzare più i mezzi pubblici per paura del contatto con gli altri e rifugiarci nelle nostre autovetture con l’effetto di far schizzare l’inquinamento a livelli insostenibili. Perché, allora, non promuovere, per gli spostamenti casa lavoro, l’uso della bici o delle gambe (queste per gli spostamenti contenuti)? Perché non cogliere l’occasione per sviluppare e realizzare i percorsi per la mobilità dolce? Per dire, in altri paesi d’Europa, anch’essi colpiti dal virus, ci stanno lavorando sopra e incentivando le persone a fare uso della bici perché è un mezzo che garantisce il rispetto delle distanze. Vi segnalo due articoli per approfondire: Distanziamento sociale e rivoluzione della mobilità Piano Emergenziale della Mobilità Urbana post-Covid
#iofacciosportemantengoledistanze
Chiudo queste brevi riflessioni con un riferimento alla pratica sportiva. Ad oggi ci è, di fatto, interdetta qualsiasi attività all’aperto e questo per paura di assembramenti. Considerato che noi sportivi non siamo degli stupidi, abbiamo capito la gravità della situazione e ci siamo dedicati alle attività indoor in tutto questo tempo, siamo perfettamente in grado di praticare il nostro sport in solitaria o, comunque, mantenendo delle adeguate distanze gli uni dagli altri.
Noi siamo pronti ad uscire e a farlo in sicurezza senza arrecare danno agli altri e a noi stessi.
C’è un detto che circola e recita più o meno così: “non fare arrabbiare un ciclista perché conosce posti dove nessuno verrebbe a cercarti”, e lo stesso vale per i runner. Questo per dire che, spesso, noi sportivi, ciclisti, runners e camminatori, rifuggiamo le folle e andiamo a cercare posti isolati e solitari dove incontrare qualcuno è una eccezione. E siamo anche bravi a scegliere orari dove, i più, dormono ancora oppure sono già seduti a tavola.
Noi la nostra parte l’abbiamo fatta, abbiamo pedalato, corso e camminato a casa, abbiamo pubblicamente invitato, sportivi e non, a mantenere comportamenti responsabili e a stare a casa ( #noipedaliamoacasa), adesso è tempo che venga data fiducia anche a noi.
Written, edited and posted by Cinzia Vecchi “Cinziainbici”
Bravissima, hai centrato perfettamente il bersaglio, è ora di diventare grandi non siamo più bambinelli, un po di autonomia intelligente ce l’abbiamo… Speriamo che le Autorità (il più è iden tificarle) lo capiscono. Del resto in Francia dalle 19 alle 23 è permesso uscire x correre o andare in bici senza ovviamente assembramenti duranteil lockdown…
Mi sembra chiaro, argomentato, esaustivo. Non è un discorso
pretestuoso ma al contrario responsabile. Dimenticavo….condivido pienamente..e credo siano in tanti ormai a pensarla come te.
Ciao Cinzia…
Assolutamente d’accordo. Sono le stesse considerazioni che faccio da giorni e non si sarebbero potute esprimere meglio.
Grazie Marco 😊